Movimento Terra

Materiale
Terra
Dimensioni
80m2, 220x 80 cm per blocco
Data
2018

L’opera “Movimento Terra” considera la trasformazione della superficie terrestre attraverso un intervento dove, la mano dell’uomo è a supporto di una trasformazione che segue quel processo legato ai cicli stessi dell’esistenza. Tale intervento si pone come palese memoria di eventi legati alla storia del luogo, con l’intento di non dimenticare ciò che spesso il tempo consente di sopire, e spesso cancella. Questo è reso possibile, dal moto della stessa materia terra dove, nove elementi modulari, definiti attraverso le stesse dimensioni di spazi destinati all’inumazione, consentiranno di percepire il luogo, nel rispetto e nel ricordo di tutti coloro che, hanno visto la propria storia, la propria esistenza terrena delineare il proprio limite, per altrui volontà.  Tutti gli innumerevoli Senza Nome, che hanno vissuto e condiviso, spesso contro la propria volontà, la realtà di questo luogo.

Opera realizzata per la VI edizione della Puglia Land Art.

Cenni storici
La Casa Rossa è un grande stabile, in agro di Alberobello, sulla via per Mottola, all’incrocio delle tre Province
pugliesi: Bari, Brindisi e Taranto. Per tutta la prima metà del Novecento fu una Scuola Pratica dell’Agricoltura,
secondo i voleri del suo fondatore, don Francesco Gigante. Subito dopo la prima guerra mondiale ospitò i piccoli
orfani di soldati caduti in battaglia, a cui offrì l’istruzione elementare. Alla vigilia della seconda guerra mondiale
fu requisita dal Ministero dell’Interno e rimase per lunghi anni sottratta alla città, per esclusive esigenze di
polizia.
Presso la Masseria Gigante, denominazione originaria della struttura, furono deportati tra il 1940 e il 1943,
persone che avevano funzioni strategiche e con particolari funzioni politiche, nella maggior parte di origine
ebraica, provenienti da ogni parte dell’Europa, destinate ad Auschwitz e agli altri campi di sterminio.
Arrivarono in catene sudditi inglesi, tra cui indiani hindu, irlandesi e maltesi, ebrei tedeschi, polacchi, ex
cecoslovacchi e apolidi, italiani politicamente pericolosi, ebrei italiani renitenti alla precettazione civile a scopo di
lavoro, altri ebrei divenuti antifascisti per il Regime solo perché avevano contestato la legislazione persecutoria
antiebraica italiana, ebrei croati in fuga dai campi di concentramento diretti dagli ustaša , ex jugoslavi dei
territori annessi all’Italia sottoposti a violente misure di italianizzazione forzata, compreso l’incendio di villaggi e
la fucilazione dei nuclei familiari a cui appartenevano i partigiani serbi e sloveni di Tito. Alcuni, ebrei e non,
all’atto dell’Armistizio furono trasferiti nel Lazio e deportati grazie alla zelante collaborazione della polizia
fascista con gli occupanti tedeschi. Tra il 1944 e il 1946, quando la regione Puglia tentava una difficile e caotica
transizione verso la democrazia, lasciando però irrisolti i conti lasciati aperti dalla dittatura fascista, con la
complicazione di una liberazione alleata tutt’altro che amichevole con le locali popolazioni civili, furono reclusi
ex fascisti confinati politici, altri uomini imputati per gravi fatti di sangue conseguenti a tragici episodi di
epurazione dal basso, scatenati da folle inferocite per la mancata epurazione istituzionale, ex militi della Decima
Mas.
Tra il 1947 e il 1949, in pieno clima di guerra fredda, non meno dura di quella calda ma molto più lunga,
arrivarono prima numerose donne straniere di tutta Europa ex-collaborazioniste o prostitute o sbandate al
seguito degli Alleati o senza documenti: con loro erano internati tanti bambini, anch’essi rifiutati da tutte le
società civili. Fu, poi, la volta di interi gruppi familiari di displaced persons di tutta Europa, e non solo: tra di loro,
soprattutto tedeschi ma anche albanesi musulmani, austriaci già cittadini italiani altoatesini che avevano optato
con Hitler per la nuova cittadinanza e che ora erano detestati sia dai connazionali che dai jugoslavi non titini in
fuga dal proprio paese, donne dei Sudeti tedescofoni sottoposte a brutali sevizie dai sovietici, perché già
privilegiate dai nazisti, russi ortodossi non bolscevichi e cittadini di stati baltici, inseguiti da emissari dell’Armata
Rossa, disertori di vari eserciti, ebrei stranieri cacciati dai campi alleati di raccolta per violazione di leggi italiane,
ebrei polacchi indesiderati in patria che speravano di emigrare in Palestina. A questa terza stagione al Campo,
visitato dai cronisti di tutta Italia, fu ispirata una nota pellicola, Donne senza nome. Le indesiderabili, del regista
ungherese Geza van Radvanij. Il campo è stato, di volta in volta, di internamento, concentramento, transito,
confino, prigionia, per profughi. Non è corretta in sede storica la definizione di Casa Rossa come campo di
accoglienza, diffusa in Puglia negli ultimi anni, forse per accreditare di nuovo, questa volta in salsa pugliese, il
mito duro a morire degli italiani brava gente, che non ci ha ancora consentito di fare pienamente i conti con la
nostra storia oscura degli anni della guerra e del dopoguerra. Il 5 dicembre 2007 la Direzione regionale per i beni
culturali e paesaggistici della Puglia ha dichiarato Casa Rossa bene di interesse storico-artistico, sottoposto alle
tutele del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n.42. Questa data ha segnato uno spartiacque: è finita l’epoca
delle iniziative estemporanee e della memoria liturgica ed è iniziata quella dei progetti sul futuro del sito. Casa
Rossa non è un unicum dell’internamento di ebrei in Puglia, né della permanenza di displaced persons nel lungo
dopoguerra: è però un caso isolato in Italia e tra i pochi nel mondo di struttura di deportazione di lunga durata:
dieci anni. Qui furono scaricati su popolazioni civili, e in particolare su donne, bambini, oppositori politici,
professionisti e intellettuali, i costi della guerra e del dopoguerra e quelli della riscrittura della carta geopolitica
dell’Europa, in termini di mobilitazione, sradicamento di popolazioni, privazione di ogni diritto e dignità, oltre
che degli elementari beni della vita quotidiana. In alcune case di Alberobello è disseminato un museo di opere
d’arte lasciate da ex internati artisti, in cambio di cibo per combattere la fame o di indumenti per sopportare il
freddo.