Human Obstacles

Materiale
Pali legati da un filo di ferro zincato.
Dimensioni
600m2
Data
2019

Apulia Land Art Festival presenta Human obstacles di Raffele Vitto, evento collaterale di Land Art 50

L’installazione ambientale di Raffaele Vitto si colloca nell’ambito degli eventi collaterali – che consistono in una serie di interventi e azioni artistiche dislocate in vari siti italiani – del progetto Land Art 50. In quest’opera, la visione estetica, che Vitto ha tradotto in materialità, riguarda tematiche ambientalistiche e sociologiche e la sua realizzazione consiste nell’applicazione di tradizionali tecniche agricole, acquisite nel tempo nei campi dalla sua famiglia di origine. L’installazione dal titolo Human obstacles, evidenzia l’ambigua capacità dell’essere umano di porre dei limiti fisici e psicologici ad altri esseri e alla natura. Il tema sviluppato è frutto di un ragionamento sulle vicende storiche della Casa Rossa, quando era luogo di internamento e di violazione delle libertà personali, e pone una riflessione sull’atteggiamento di indifferenza e irresponsabilità delle masse sui cambiamenti climatici.

Questa duplice accezione si tramuta così in intervento artistico, in materialità tangibile e fruibile. Ma il risultato artistico che si è ottenuto non è solo il termine ultimo di un approfondimento dell’artista, ma l’applicazione diretta di buone pratiche di sostenibilità e di partecipazione. Infatti, l’artista con una capillare opera di ricognizione nel territorio di Trinitapoli, sua città di origine, ha raccolto i pali dismessi dei vigneti, abbandonati ai bordi delle strade, facendo una vera e propria opera di pulizia di alcune discariche abusive, tutto questo grazie anche ad amici e sostenitori del progetto che hanno collaborato nel reperimento dei materiali, nel trasporto e nella messa in opera. Questo tipo di intervento è accostabile per certi versi al movimento della Junk Art, termine coniato da Lawrence Alloway nel 1961 in occasione della mostra The Art of Assemblage al MOMA di New York. L’idea era allora quella di riconsiderare il rifiuto estraendolo dal proprio contesto di inerte abbandonato e useless per ricomporlo, o meglio, riassemblarlo, affinché si trasformasse in nuova esistenza. Un percorso in cui sono stati pionieri, tra gli altri, Marcel Duchamp, Pablo Picasso, Kurt Schwitters, senza tralasciare gli esponenti del Nouveau Realisme. Il capovolgimento dell’oggetto è l’atto magico che ha concesso una nuova risemantizzazione oggettuale e ha aperto il panorama delle arti visive a molteplici orizzonti e nuove soluzioni, spingendo gli artisti a riflettere su cosa si intendesse effettivamente con il termine “arte” e su come anche nello scarto si può ritrovare una forma del bello estetico. Entrarono così in gioco una serie di opportunità che spostarono il focus della ricerca artistica sulla materialità e sul medium da utilizzare per rendere maggiormente comunicabile la propria ricerca espressiva. Tra i casi maggiormente rappresentativi di questa necessità “costruttiva” sono senz’altro da considerare Alberto Burri e di Robert Rauchenberg, che fu allievo di Josef Albers durante gli anni del Black Mountain College nel North Carolina. E Albers aleggia anche sull’opera di Vitto, sia nella composizione che nell’intenzione di omaggiare uno degli illustri fondatori del Bauhaus, di cui quest’anno ricorre il centenario. Ma l’uso dello scarto industriale non è una novità nel contesto della Land Art, infatti l’artista statunitense Betty Beaumont nel 1980 recuperò le polveri del carbon fossile, di alcune industrie, per ricompattarle in mattoni. Successivamente questi mattoni, circa cinquecento tonnellate, vennero posizionati su una chiatta e scaricati nella baia di New York. Questa operazione ha permesso la ricostituzione di un Ocean Landmark, un habitat artificiale nel fondale marino idoneo alla prolificazione di plancton e di altri organismi animali. Nell’opera di Raffaele Vitto si attesta la medesima riconversione che accade nella Beaumont, forse in una forma più riflessiva rivolta all’intimità di ogni singolo fruitore. Addentrandosi in questa installazione i pali in cemento convergono, tendendo ad infittirsi, verso una selva fredda simulante tronchi sterili e grigi. Proseguendo verso l’interno l’ambiente esterno da cui provenivamo si dilegua. Si resta incagliati in una nuova dimensione, ci assimiliamo all’opera divenendo anche noi elemento verticale seriale richiuso in un’alternanza di forme quadrate percepibili solo dall’alto. Come un rimanere bloccati in un non-percorso. Ci resta solo che attendere per scoprire come la natura e gli eventi atmosferici interagiranno con il lavoro proposto dall’artista.

Testo a cura di Giuseppe Capparelli