Testo di Carmelo Cipriani

“Dio, ossia la Natura, è punto di partenza e punto di arrivo, sia sul piano logico e della conoscenza, sia su quello ontologico. La Natura, quindi, non può essere considerata una cosa statica: al suo interno si esplica un’attività. Ora, se consideriamo che tutte le cose sono in Dio (nella Natura), l’azione della Natura non può svolgersi che su se stessa, provocando però uno sdoppiamento fra soggetto (Natura naturans) e oggetto (Natura naturata)”. Così Spinoza nella prima parte dell’Etica spiega la sua concezione panteistica. Per lui l’identificazione tra Natura e Dio si manifesta in un due modi distinti: uno statico (natura naturata, ovvero la perfezione come risultato compiuto, perfetto e immutabile), l’altro dinamico (natura naturante, la natura nel divenire della sua perfezione). A quest’ultimo aspetto più che al primo è interessato Raffaele Vitto che dalla Natura come entità in continua trasformazione fa partire la sua ricerca. Non una natura irrazionale, primigenia, ostile e incolta, ma una natura ordinata, che ama l’uomo ed è da questo ricambiata. Un interessamento che supera le forme per approcciare i processi come dimostra Movimento-Terra, scultura ambientale realizzata nel 2018 a Casa Rossa ad Alberobello durante la sesta edizione di Apulia Land Art Festival, monumentale parafrasi dei lenti e costanti movimenti terrestri, gli stessi che poco dopo la realizzazione, anzi nel mentre stesso della creazione, assorbono l’opera fino a cancellarla. Una grande scultura che evolve qualificando lo spazio naturale come fenomeno di energia e materia, sottraendo la geometria all’immutabilità della perfezione e sottoponendola a quell’ineluttabile processo di riformulazione che coinvolge ogni elemento. Ai processi naturali guarda anche Sete del 2020, che sintetizza in forme auree la quantità di acqua piovana caduta in un anno (2019) sulla terra; opera in cui l’artista rinuncia alla monumentalità e al lavoro manuale, aspetti fino a questo momento connotanti il suo lavoro, per avviarsi verso una sperimentazione più di tipo concettuale, che nell’identificazione acqua-oro da un lato sancisce la preziosità dell’acqua, elemento vitale per eccellenza, dall’altro omaggia la laboriosità dell’uomo che, oltre a riconoscere il valore dell’acqua, ne monitora la quantità (né troppa, né troppo poca) affinché non danneggi la terra pazientemente coltivata. Lavoro latamente “processuale” è anche Passi di terra, installazione site-specific presentata nel 2019 alla Fondazione Sassi di Matera. Quattrocento mattonelle in terra e paglia ricavate dal calco delle famose cementine che anticamente rivestivano i marciapiedi rivestono parzialmente il pavimento dello spazio espositivo. Su di esse lo spettatore è libero di camminare. Nel farlo le frantuma restituendo alla terra ciò che l’arte le ha momentaneamente sottratto.  

La campagna è per l’artista il luogo di vita, ma è anche il deposito di memoria e la principale fonte d’ispirazione. La sua terra, nel nord della Puglia, coltivata con il nonno fin dall’infanzia, è l’origine di ogni sua opera. Questa sua dichiarazione di poetica emerge chiara in Eredità del 2018, una zappa di bronzo su una zolla di terra, lirica unione tra strumenti e materiali specifici della sua ricerca plastica. Un’indagine che parafrasa la terra anche nelle forme, minime e monumentali insieme, e che per questo è capace di esprimersi sia in piccolo formato, in sculture d’impronta minimalista, che in proporzioni più vaste, dando luogo a veri e propri interventi di Land Art. Dalla campagna Vitto ricava quotidianamente frutti e soddisfazione, ma anche concetti, materie (non solo terra, ma anche fascine, tubi per l’irrigazione  e pali in cemento dismessi, paglia, pietra e ferro) e colori come nella serie Cromie del 2019. Più che il generico rapporto uomo-natura, egli sente e omaggia il legame terra-contadino, avvertendo l’attività artistica come una naturale prosecuzione di quella agricola. Lavora sulla terra come mezzo e allo stesso tempo oggetto di rappresentazione, ma la sua non scrittura della realtà ma proposizione di essa nei suoi ineluttabili processi di vita e trasformazione. Da un quinquennio prosegue con coerenza e fedeltà la sua ricerca, nell’assoluta convinzione che tutta, o quasi, l’arte contemporanea vive nel confronto incessante con la caducità.

Carmelo Cipriani